Il teatro è fatto soprattutto di persone. Persone che hanno idee, persone che recitano su un palco, altre che collaborano dietro le quinte e infine persone che siedono in platea. Poi ogni tanto capita che ci siano persone che fanno tutte queste cose insieme.
Succede ad esempio che i cittadini di Scandicci partecipino a un processo di partecipazione democratica che si fonde con il teatro. E che siano al tempo stesso ideatori del testo, interpreti e anche destinatari. Il “prodotto finale” di questo percorso è lo spettacolo La Città Visibile, andato in scena sabato scorso al Teatro Studio di Scandicci. Ero presente in sala e anche se non abito a Scandicci, mi sono emozionata un po’ anch’io.
Una premessa: il teatro fatto da una comunità di cittadini non è una novità. Per citare solo le esperienze più famose in Toscana basta ricordare il Bruscello Poliziano e il Teatro Povero di Montichielli. Però si tratta sempre della messa in scena di un testo teatrale, nel senso classico del termine. A Scandicci il percorso è stato diverso: il punto di partenza è stata la riflessione sulla propria città, e il teatro è stato al tempo stesso metodo per stimolare la creatività dei partecipanti e mezzo espressivo.
Ma come è nato questo spettacolo? Prima di tutto si tratta di un progetto ideato dall’Accademia dell’Uomo della Fondazione Teatro della Toscana e promosso dal Comune di Scandicci. Il primo passo è stato chiedere ai cittadini come immaginavano la propria città nel futuro, con un’orizzonte molto ampio: il 2050. Quindi non si tratta di esporre quello che non va – cosa che purtroppo tutti noi facciamo quotidianamente – ma di concentrarsi su cosa potrebbe essere, in base ai propri desideri. Si tratta quindi di partire da emozioni, sogni, esigenze private e proiettarle sullo spazio pubblico, trasformando tutto questo in proposte alle quali poi l’amministrazione potrà attingere. Infatti il progetto è stato inserito parallelamente alle iniziative che l’Amministrazione comunale di Scandicci ha realizzato nell’ambito del progetto “Una città per cambiare”, in occasione dell’aggiornamento del Piano Strutturale e dell’elaborazione del Piano Operativo (i nuovi strumenti che sostituiranno integralmente il Regolamento Urbanistico).
Le città e il desiderio
Del resto già Calvino ne Le città invisibili scriveva:
È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.
In questo caso, senza ignorare le paure – che anzi sono esplicitate spesso nel testo – si è scelto di concentrarsi sui desideri.
Un percorso di partecipazione democratica che prevede una buona dose di creatività quindi. E per stimolare questa creatività si è scelto di applicare il metodo mimico e l’espressione teatrale.
Il metodo mimico, ideato da Orazio Costa, è noto per i risultati ottenuti nella formazione di generazioni di attori italiani. Quello che è meno noto è la sua versatilità, che permette di affiancarlo ad altre tecniche formative. Infatti già Costa pensava che il metodo mimico fosse un modo per formare l’essere umano, prima che l’attore. E in questo senso può essere applicato a tutte quelle situazioni in cui si deve attingere alle proprie esperienze per giungere a un pensiero creativo.
Teatro e partecipazione democratica
In questo caso si è unito il metodo mimico a un percorso di coaching, in modo da guidare i trenta partecipanti in un percorso di scoperta e di produzione – il testo recitato è basato sui pensieri dei cittadini-attori – articolato in 5 punti:
- Bellezza
- Emozione
- Tempo – nel senso del rapporto tra passato, presente e futuro immaginato
- Visioni
- Domande – che riassume i desideri espressi analizzando i quattro punti precedenti.
I partecipanti si alternano come attori e spettatori – tra un turno di parola e l’altro sono seduti a bordo palco, orientati come il pubblico – esprimendo la propria visione di una Scandicci che potrebbe essere. Così seduti tra il pubblico scopriamo che sognano una città più aperta e integrata, dove il Castello dell’Acciaiolo diventa una sorta di Central Park, dove chiunque può fare sport senza barriere, dove gli abitanti rispettano le norme del vivere civile.
Utopia? Forse, ma si tratta in verità di questioni molto pratiche – dalla raccolta differenziata all’illuminazione pubblica – dove però ci si concentra sulla soluzione e non sul problema. In pratica non si inveisce contro un’amministrazione vista come distante dai bisogni dei cittadini, ma si propongono soluzioni puntuali.
Guidati dall’ideatore Iacopo Braca, assistito dagli insegnanti CAE Marisa Crussi, Alessandro Scaretti e Michele Redaelli, con la supervisione del Responsabile della formazione del Teatro della Toscana Pier Paolo Pacini, cinque gruppi di cittadini, attraverso un percorso di dieci incontri, hanno sviluppato desideri e utopie, fino a descrivere un nuovo ideale di città. Hanno percorso in lungo e in largo Scandicci e i dintorni, come per riappropriarsene; ne hanno ricostruito la storia, rappresentandola quasi graficamente sul palcoscenico; hanno scavato nel loro voler essere cittadini attivi, cercando fantasia e nuove motivazioni. Il teatro è stato il veicolo scatenante di una catena di riflessioni, e la chiave per aprire la porta di un reale momento di democrazia non legato al solo contingente, ma capace di trovare il particolare nell’ambito di una visione più elevata e generale.
Tutti i desideri e le visioni di futuro sono diventati testo teatrale: cucito insieme e recitato dagli stessi cittadini affiancati dai ragazzi della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ del Teatro della Toscana in qualità di “narratori”. Vederlo è un po’ come assistere alla cristallizzazione dei pensieri e dei sogni di una città – e questo, sarete d’accordo con me, è molto emozionante. Un po’ come le famose “capsule del tempo” raccontano un po’ come immaginiamo il futuro. Sarà bello fare poi nel 2050 fare il confronto tra reale e immaginato.
La conferenza spettacolo La Città Visibile è stata quindi “semplicemente” – si fa per dire – l’aspetto tangibile di questa prima parte di percorso. Sì, perché come mi racconta Iacopo Braca – facilitatore di questo percorso e coordinatore insieme a Pier Paolo Pacini dell’Accademia dell’Umomo – gli stessi partecipanti hanno chiesto di poter continuare questa esperienza, magari anche con altri mezzi espressivi.
E non è un caso che la sede di questo “esperimento” si svolga sul palco del Teatro Studio ‘Mila Pieralli’, una realtà che da sempre ha rappresentato per questo territorio un punto di riferimento importante. In passato il Teatro Studio è stato un’importante terreno di sperimentazione teatrale e culturale. Oggi fa parte del Teatro della Toscana, ma questo non vuol dire che abbia perso la sua identità: questo progetto infatti rappresenta un primo passo verso un nuovo processo di radicamento nel tessuto cittadino.